Il nostro blog: foto, video e approfondimenti
Non abbiamo la pretesa di dare una definizione ampia, corretta ed esaustiva di cosa sia un problema in matematica, ma abbiamo provato comunque a mettere insieme alcuni contributi autorevoli con cui mettere in chiaro almeno cosa NON è un problema e perché è così importante nella matematica. Questo articolo nasce dal confronto quotidiano con le riduzioni di questo fondamentale concetto che purtroppo animano la “nostra” scuola… La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il seguente “dettato” di una docente in una classe seconda di scuola primaria (la scorsa settimana in classe):
Il problema è la descrizione di una situazione che ha bisogno di una soluzione. Nel problema matematico ci sono dei numeri che servono per risolvere la situazione con un’operazione. Alla fine di ogni problema c’è la domanda: chiede cosa è successo e ti aiuta a risolvere il problema con l’operazione adatta. I numeri che trovi nel testo sono le informazioni necessarie per risolvere il problema: sono i dati del problema. IMPARATELO A MEMORIA PER LA PROSSIMA VOLTA!
Aiuto sì! Ma non per la memoria chiamata in causa! Davvero QUESTO è un problema?!
Ci facciamo aiutare dalla voce PROBLEMA del Dizionario di matematica elementare di Stella Baruk (pagg. 440-42):
s.m., 1638, dal greco problema, da pro “davanti”, e ballein, “gettare”, da cui “oggetto gettato davanti, ostacolo”, ma anche “compito, questione proposta, causa di controversie”.
I. a) Il termine problema ha conosciuto una fortuna tale da apparire in circostanze in cui non ha nulla a che fare con la matematica: la pubblicità, per esempio, se ne serve fino all’abuso, quando chiede avete problemi alle gengive? o propone di prendere in considerazione il vostro problema bagno.
Da “questione difficile da risolvere”, problema è diventato un termine onnivalente, il cui uso scorretto e generico contribuisce, come nel caso del termine prodotto, a impoverire l’espressione e, quindi, la lingua. Tutto pone problemi, tutto crea problemi. Ci si sente correntemente accogliere, in diversi posti, con la domanda qual è il suo problema? invece di, secondo i casi, “qual è lo scopo della sua visita, o della sua domanda, o del suo comportamento?”, oppure “che cosa posso fare per lei?”, “quale difficoltà ha incontrato?” ecc. Fino ad arrivare al bollettino meteorologico, in cui si preannuncia che oggi il sole non avrà problemi: quali potrebbero essere i problemi del sole? Le eclissi? Assimilato a un essere pensante, probabilmente il sole risponderebbe, al passo con i tempi, ”questo non è un problema mio, ma degli astronomi”.
b) Ancora più in particolare, lasciare che si radichi nell’ambiente scolastico l’espressione “ragazzi con problemi” o ignorare che, negli ambienti cosiddetti svantaggiati, i ragazzi “senza problemi” associano subito la parola “problema” alla necessità di “vedere” l’assistente sociale o il medico, vuol dire caricare a priori il termine problema di un significato che rischia fortemente di essere fuorviante quando si affronta un “vero problema”, di matematica o non di matematica.
c) Probabilmente, preoccupandosi di salvaguardare nello stesso tempo la lingua in generale e il senso di certe parole in particolare, gli insegnanti potrebbero fornire in classe le parole alle quali problema serve da sostituto in modo troppo compiacente. E quando si tratta di un problema di matematica, piuttosto che accentuare la confusione come si vede sui certi libri a proposito di “situazioni che provocano problemi” o “un problema?” (per dire “una difficoltà?”), potrebbero tentare di chiarirne la specificità. Quando si sente Claude [questa voce merita un articolo articolo a parte, vi basti per ora sapere che Claude, ragazzo o ragazza, rappresenta tutti gli allievi e le allieve che si sono susseguiti nel corso del tempo, ma è anche una persona alla quale l’autrice dedica il dizionario] dire con aria annoiata e afflitta: “ho problemi in matematica”, senza che si tratti specificamente di problemi di matematica, o quando lo si sente annunciare più placidamente che, questa settimana, il suo problema non gli ha posto problemi, si riconosce che problema è una parola usata con grande noncuranza, e che conviene, durante le lezioni di matematica, ridarle un po’ del significato perduto…
II. a) Questione da risolvere attraverso metodi scientifici o razionali a partire da un certo numero di dati, che ne costituiscono l’enunciato: il problema dell’origine dell’universo e l’ipotesi del Big Bang.
Più in generale, nel dominio delle conoscenze, questione oscura o che si presti a discussione, non ancora chiarita: i grandi problemi posti dalla filosofia, dalla storia, dall’archeologia.
b) Poiché lo scopo in vista del quale si pone un problema è la sua risoluzione, non si ha a che fare effettivamente con un problema se non quando si può formulare l’enunciato in modo coerente; la formulazione potrà consentire di trovare i mezzi per rispondere alla questione posta o di dire che essa non ha risposta. Per esempio: qualcuno pensa che il problema della circolazione nelle grandi città sia insolubile; la realizzazione del progetto reca con sé problemi tecnici molto ardui.
Dal momento che l’idea di problema è così legata a quella del suo enunciato, quando questo enunciato non è, per qualche motivo, accettabile, se ne deduce logicamente che gli usi negativi di problema hanno più facilmente significato di quelli positivi: non è questo il problema; quello che voi esponete non è un problema, ma un dilemma; è un falso problema.
c) L’uso comune è già stato richiamato nel § I; nell’ambito di questo uso sembra opportuno preferire a “problema” parole come difficoltà, conflitto, fastidio, preoccupazione, questione, che può essere ardua, ingarbugliata, oscura, oppure caso, che può essere spinoso, inquietante, sconcertante, o ancora enigma, mistero, ecc.
III. Si usa dire dei problemi di matematica la stessa cosa che si dice dei cruciverba: per saperli risolvere, occorre farne molti. Allora, tutta la questione sta nel cominciare; cosa confermata da Claude, che dice spesso di capire la lezione teorica, ma non sapere da che parte prendere i problemi.
Numerose voci di questo dizionario forniscono esempi di come si possa assegnare l’enunciato di un problema (dato, ipotesi), altre danno un’idea di come si possa affrontare il problema stesso (geometria, dimostrazione, analisi). Ma si ripete a più riprese che l’abitudine, la familiarità con la matematica e le domande poste permettono, poco a poco, di sapere come affrontare un problema e come trovarne la soluzione (figura, logica). Dunque, l’esercitazione in classe, la messa in pratica dei metodi e degli esempi di risoluzione dati dai professori sono essenziali per la costituzione più o meno rapida di un “passato matematico” sufficiente per consentire di affrontare il presente.
È necessario, tuttavia, essere a conoscenza di un certo numero di fatti generali, che vengono indicati qui di seguito.
a) Affrontare un problema presuppone che sia lasciato tempo: da parte degli insegnanti deve essere dato tempo a sufficienza per il lavoro e la riflessione a casa, per potere, poi, “mettere alla prova” i ragazzi con un’interrogazione o un compito scritto.
b) Affrontare un problema presuppone la restrizioni del proprio spazio a un foglio di carta, sul quale si saranno disposte le informazioni essenziali dei dati. Dal momento che ricercare una soluzione non è altro che considerare e riunire numerosi elementi simultaneamente, questo piccolo spazio aiuta materialmente a concentrare la propria attenzione.
c) Lavorare in gruppo può essere piacevole o divertente; si può anche assumere, ciascuno nei confronti degli altri, il ruolo di contraddittore e impedire agli altri di “scambiare le proprie richieste per realtà”; ma il “vero” lavoro di ricerca è individuale, poiché non esistono due menti che “funzionino” nello stesso modo e che, anche ammesso che partano dalle stesse conoscenze, abbiano le stesse intuizioni. Quanto al ruolo del contraddittore, che è necessario saper recitare con se stessi, esso fa parte del metodo matematico: chi mi dimostra che…, perché io posso affermare che… ecc.
d) Non bisogna avere timore di spendere le proprie energie su un problema, soprattutto quando è di un nuovo tipo di nuovo. Venire a conoscenza di una soluzione apporta qualche vantaggio solo se la si è veramente cercata; solo così, se si viene a scoprire un “trucco”, la sua esistenza avrà qualche possibilità di essere ricordata. Poi ci si accorgerà che più “trucchi” cominceranno a costituire l’inizio di un metodo.
e) È necessario ricordare che, in matematica, dimostrare che un problema non ha soluzione è come avergliene trovata una; ma occorre, purtroppo, essere anche consapevoli che non è detto, perché non la si è trovata, che essa non esista…
IV. 1. a) Si potrà vedere alla voce teorema che la distinzione fra teorema e problema risolto ha suscitato molte discussioni fin da prima di Euclide; ma, con gli Elementi di Euclide, costruzione magistrale in cui la posizione di ciascuna proposizione è meditata e che è servita per circa duemila anni da modello di esposizione matematica rigorosa, si è potuto disporre di materiale fra cui scegliere. Secondo Proclo (V secolo), il vero titolo dell’opera di Euclide sarebbe Insegnamento degli elementi, e il suo lungo Commento è finalizzato a farne apprezzare l’efficacia, il rigore, l’eleganza dell’esposizione e anche… lo spirito pedagogico.
Egli approva, praticamente, tutte le scelte, tutte le distinzioni di Euclide, e fa notare a ragion veduta che, riguardo alle definizioni, ai postulati e agli assiomi, la lunga successione di enunciati che la tradizione chiama proposizioni si divide in teoremi e problemi, non perché così li presenti Euclide, ma per la loro formula conclusiva: un problema termina con “come si doveva fare“, un teorema con “come si doveva dimostrare“.
Così, la prima proposizione è questa: “Su un segmento dato costruire un triangolo equilatero”; essa è un problema, infatti termina, una volta che si è costruito il triangolo e che si è dimostrato essere equilatero, con la formula “come si doveva fare”. La seconda e la terza proposizione terminano nello stesso modo e sono, così, problemi. La quarta proposizione è il primo teorema e termina con “come si doveva dimostrare”; con stile analogo alle proposizioni precedenti, questo teorema afferma che “due triangoli aventi due lati e l’angolo compreso rispettivamente della stessa grandezza” sono sovrapponibili: la si chiama oggi “congruenza fra triangoli”.
b) Si ritrova proprio la distinzione stabilita alla voce teorema.
- Per il problema, ciò che prevale è l’idea di accidentalità (la richiesta potrebbe essere, per esempio, di costruire non un triangolo equilatero, ma un quadrato), e di azione da compiere, un problema appartiene al campo del sensibile (più tardi, si dirà dell’esperienza).
- Per il teorema, è l’idea di essenzialità che prevale, quella di una verità eterna indipendente da chi la enuncia o la sente; un teorema appartiene al campo (superiore) dell’intelligibile. Il teorema, oggetto di studio o di contemplazione, è perfettamente riconoscibile, e colui che lo formulasse “problematicamente” sarebbe, come dice Proclo, “estraneo alla geometria”.
c) Altre considerazioni, che non si fanno più oggi, ma che furono per molto tempo fondamentali per i commentatori e gli insegnanti, intervengono nella distinzione fra teorema e problema. Un problema costringe chi lo affronta a compiere azioni, a prendere iniziative, a effettuare operazioni, algebriche o geometriche, come tracciare una retta, un arco di circonferenza ecc., senza che egli sappia veramente se perverrà alla risoluzione. Invece, un teorema consiste nell’enunciazione di una “verità”: questa è data, e si è solo incitati a fornire il proprio assenso, attraverso l’esame della stessa dimostrazione.
2. a) Numerosi problemi sono celebri, sia per il loro soggetto, sia perché è stato dato un nome o al loro enunciato o alla loro soluzione. Fra quelli detti “problemi greci”, c’è il problema della quadratura del cerchio, che fu risolto quando si dimostrò la sua impossibilità.
b) Certi problemi si dicono “aperti”, e ciò costituisce un altro modo per designare una congettura.
Anche il nostro caro amico George Polya (autore tra l’altro di Come risolvere i problemi di matematica. Logica ed euristica nel metodo matematico, Feltrinelli, Milano, 1967 ) ci ha lasciato un contributo prezioso relativo ai “problemi”. Riportiamo solo alcuni stralci significativi:
“ … un insegnante di matematica ha una grande possibilità. Ovviamente se egli impiegherà le sue ore di lezione a far eseguire dei calcoli ai suoi studenti, finirà per soffocare il loro interesse, arrestare il loro sviluppo mentale e sciupare l’opportunità che gli si presenta. Invece se risveglierà la curiosità degli alunni proponendo problemi di difficoltà proporzionate alle conoscenze della scolaresca e li aiuterà a risolvere le questioni proposte con domande opportune, egli saprà ispirare in loro il gusto di un ragionamento originale…
Un’idea geniale risolve spesso un grande problema, ma nella risoluzione di tutti i problemi interviene un pizzico di genialità. Può trattarsi di un problema modesto, ma se esso stuzzica la nostra curiosità ed eccita le nostre facoltà mentali e soprattutto se si riesce a risolvere da soli, si scoprirà l’ansia della ricerca e la gioia della scoperta. Simili esperienze, fatte a tempo opportuno … possono lasciare un’impronta nell’animo…
Risolvere i problemi è una questione di abilità vera e propria come, permettetemi il paragone, nuotare. Qualunque abilità pratica può essere acquisita con l’imitazione e l’esercizio … Per imparare a risolvere i problemi è necessario osservare ed imitare come vi riescono le altre persone ed infine si riesce a risolvere i problemi risolvendoli … Lo studente dovrebbe desiderare di conoscere la soluzione … i problemi dovrebbero essere scelti con cura, né troppo difficile né troppo facili, semplici ed interessanti … presentati in una forma gradevole, piana e atta a risvegliare la curiosità dei giovani!
Un ingrediente essenziale del problema è il desiderio, la volontà e la decisione di risolverlo. Un problema diventa il vostro problema, lo possedete veramente, quando decidete di farlo, quando desiderate di risolverlo.”
Quante volte ci siamo trovato a ripeterci e a ripetere l’ultima frase: un problema deve diventare nostro, dobbiamo desiderare di risolverlo, altrimenti rimane sempre un problema di qualcun altro, della maestra, del professore, della mamma, del compagno di classe, ma mai il NOSTRO problema con la NOSTRA soluzione!
Non possiamo non concludere quest’articolo “fiume” con un contributo della Prof.ssa Ana Millán Gasca tratto da Numeri e forme (pagg. 174-5):
“Il “pensare” della matematica è spinto dalla curiosità, da un certo spirito di avventura e dal coraggio intellettuale, e questo desiderio di sapere e di mettersi in gioco si esprime al meglio di fronte ai problemi. Sono i semplici problemi, che si possano risolvere anche contando, la via che sollecita l’intuizione per eseguire i primi calcoli già nella scuola dell’infanzia; nella scuola primaria i problemi diventano un centro propulsore della matematica, ad esempio conferendo un significato e motivando l’utilità di ognuna delle quattro operazioni. Anche se si parla di storia della matematica, e soprattutto nello scoprire la matematica attorno a noi, il discorso è completo se vi si trovano spunti per proporre e risolvere problemi.
I problemi possono essere proposti e risolti con l’intera classe, con il contributo di tutti, in piccoli gruppi oppure individualmente, a seconda soprattutto del grado di difficoltà. I bambini trovano piacere anche nell’inventare loro stessi dei problemi da proporre ai compagni, esprimendo sotto questa forma la loro creatività e immaginazione, e persino sbizzarrendosi nel raccontare e cercare di sorprendere. I problemi offrono una palestra per esercitare la propria autonomia e iniziativa, accettando piccole sfide. Poiché agli alunni si richiede uno sforzo, si deve anche garantire loro la libertà di cercare una propria via. […] l’aspetto fondamentale è il ragionamento che accompagna la strategia scelta nel tentativo di convincere l’insegnante e i compagni della giustezza della risposta; e poi anche il mettere a confronto strategie diverse per vedere quale è più appropriata o efficiente. Nella risoluzione di problemi si allena la perseveranza, la capacità di accettare gli errori e di correggersi e lo spirito di collaborazione con i propri pari, tutte componenti del lavoro scientifico e aspetti formativi che contribuiscono alla maturazione non solo intellettuale.”
Speriamo di essere stati di aiuto con quest’articolo: rimane “solamente” – a noi e a voi – il “problema” di insegnare ad affrontare e risolvere VERI problemi!!!
Buona Matematica a tutti!
[…] un lungo articolo sulle implicazioni connesse allo svolgere problemi nell’ora di matematica (https://www.associazionetokalon.com/problema-dei-problemi/). Oggi voglio offrirvi la sintesi di un’esperienza che nasce da una sfida: proporre problemi […]