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Sta scherzando, Mr. Feynman!
Richard P. Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, è stato uno dei maggiori fisici teorici dello scorso secolo, un personaggio veramente intrigante! Questa estate, finalmente, sono riuscito a trovare del tempo per leggere qualcosa su di lui. Non il solito compendio di fisica, ma un libro in cui vengono raccontati alcuni episodi dell’affascinante vita dello scienziato che ha scassinato le più sicure casseforti di Los Alamos, dove si custodivano i segreti della bomba atomica, suonato la frigideira in una scuola di samba brasiliana, illustrato la fisica a “menti mostruose” come Einstein, von Neumann e Pauli, e lavorato come suonatore di bongo con una coreografa di successo, per tacere poi della sua attività di pittore, di biologo, o di frequentatore di case da gioco. Per dare un’idea dell’unicità del personaggio, basti pensare che il futuro premio Nobel venne scartato dall’esercito americano perché “psichicamente deficiente”.
“Sta scherzando Mr. Feynman!” ed. Zanichelli
L’ho letto di getto, in un paio di giorni al massimo, trovandolo ricchissimo di spunti per il mioo lavoro di docente. In particolare vi propongo la parte in cui il professor Feynman racconta della sua esperienza di insegnamento in Brasile. Estremante formativo questo estratto, dove ritrovo molto delle mie (e nostre?) esperienze sia come docenti sia come studenti.
[…Per quanto riguarda l’insegnamento, l’esperienza brasiliana era stata molto interessante. Insegnavo a studenti che a loro volta avrebbero insegnato, perché all’epoca in Brasile non c’erano molti sbocchi per studenti con una buona formazione scientifica. Quei ragazzi avevano già seguito molti corsi, e il mio sarebbe stato quello avanzato sull’elettricità e il magnetismo – equazioni di Maxwell e roba del genere.
Insegnavo in un palazzo affacciato sulla baia, l’università era decentrata in vari edifici in tutta la città.
Notai un fenomeno strano: se facevo una domanda, gli studenti rispondevano immediatamente; quando poi la ponevo un’altra volta – la stessa domanda sullo stesso argomento, per quanto mi risultava – non riuscivano più a rispondere. Per esempio, una volta si parlava di luce polarizzata, e distribuii a tutte delle strisce di polaroid.
Il polaroid lascia filtrare soltanto la luce il cui vettore del campo elettrico è orientato in una certa direzione: le due strisce lasciavano passare la luce polarizzata nella stessa direzione – la luce che passava da una striscia poteva passare anche dall’altra. Poi chiesi come si poteva determinare la direzione di polarizzazione assoluta di un solo pezzo di polaroid.
Non ne avevano la minima idea.
Sapevo che non era una domanda ovvia, quindi fornii loro un indizio. “Guardate la luce riflessa dalla baia, fuori dalla finestra”.
Silenzio.
“Avete mai sentito parlare dell’angolo di Brewster?”, chiesi allora.
“Si professore. È l’angolo d’incidenza di un raggio luminoso su una superficie con un indice di rifrazione per il quale si ha completa polarizzazione.”
“E quale è la direzione di polarizzazione della luce quando è riflessa?”
“La luce è polarizzata in una direzione perpendicolare al piano di riflessione, professore.” (Ancora oggi devo pensarci un po’ prima di rispondere correttamente; loro invece lo sapevano a memoria. Sapevano perfino che la tangente dell’angolo è uguale all’indice di rifrazione!)
“Allora?”, chiesi.
Ancora silenzio. Eppure mi avevano appena detto che la luce riflessa da una superficie vitrea, come la baia là fuori, era polarizzata; mi avevano perfino detto la direzione di polarizzazione.
“Guardate la baia attraverso il pezzo di polaroid. Ora girate il polaroid.”
“Oh! È polarizzata!”
Dopo parecchie indagini conclusi che gli studenti avevano imparato a memoria tutto ma non avevano capito niente. Quando sentivano “la luce è riflessa da una superficie riflettente” non sapevano che s’intendeva anche uno specchio d’acqua. Non sapevano che la direzione della luce è la direzione nella quale si vede una cosa quando la si guarda. Tutto era stato memorizzato ma nulla era stato tradotto in parole che avessero un significato. Se domandavo: “Cos’è la legge di Brewster?”, inserivo nelle loro teste-computer la parola chiave. Ma se dicevo “Guardate l’acqua” non succedeva nulla; non avevano schedato nulla sotto “osservare l’acqua”.
Un giorno ho assistito a una lezione del Politecnico. Il corso procedeva così: “Due corpi….sono considerati equivalenti… se coppie uguali…. producono accelerazioni uguali. Due corpi sono considerati equivalenti se coppie uguali producono accelerazioni uguali”. Gli studenti scrivevano sotto dettatura e quando il professore ripeteva la frase controllavano se l’avevano scritta giusta. Poi si passava alla frase successiva e così via. Ero l’unico a sapere che il professore parlava di oggetti con lo stesso momento d’inerzia, nessun altro poteva immaginarlo.
Non capivo come avrebbero potuto imparare qualcosa, in quel modo. Il professore parlava di momenti d’inerzia ma non, per esempio, del fatto che spingere una porta è più facile se lo si fa dal lato della maniglia che da quello dei cardini.
Dopo la lezione, chiesi a uno studente: “Cosa farete di tutti gli appunti che avete preso?”.
“Li studieremo per l’esame.”
“E come sarà l’esame?”
“Facilissimo. Posso dirle già da ora una delle domande.” Lesse dal quaderno e disse: “ Quando due corpi son considerati equivalenti?”. Risposta: “Due corpi sono considerati equivalenti quando due coppie uguali producono un’accelerazione uguale”. Ecco: studiavano tutto e passavano l’esame senza sapere altro che parole mandate a memoria.
Assistetti anche a un esame di ammissione la Politecnico. Era una prova orale e mi avevano autorizzato a presenziare. Uno dei candidati era veramente brillante, rispondeva senza esitazione a tutte le domande. Gli esaminatori gli chiesero che cos’era il diamagnetismo, rispose perfettamente. Poi domandarono: “Mettiamo che la luce passi, a una certa angolazione, attraverso uno strato di spessore x e con un indice n. Cosa accadrà al raggio di luce?”.
“Uscirà parallelo a se stesso, ma spostato.”
“E spostato di quanto?”
“Non saprei, posso calcolarlo.” Fece i calcoli. Era bravissimo, ma cominciavo ad avere dei sospetti.
Dopo l’esame andai a trovarlo, gli spiegai che venivo dagli Stati Uniti e che volevo porgli alcune domande, senza che ciò influenzasse il suo voto. La prima fu: “Mi può fare un esempio di sostanza diamagnetica?”.
“No”.
“Mettiamo che questo libro sia di vetro. Se attraverso il vetro osservo un oggetto posto sulla scrivania, cosa accade all’immagine quando faccio girare il vetro?”
“Avrebbe una deviazione pari a due volte l’angolo con cui lei ha fatto ruotare il pezzo di vetro.”
“Non sta confondendo il vetro con uno specchio?”
“No, professore.”
Aveva appena detto, durante l’esame, che la luce si sarebbe spostata rimanendo parallela a se stessa, e che quindi l’immagine si sarebbe spostata di lato senza ruotare. Aveva perfino calcolato lo spostamento! Ma non capiva che un pezzo di vetro è un materiale rifrangente e che i calcoli che aveva fatto poco prima c’entravano con la mia domanda.
Al Politecnico tenni poi un corso sui metodi matematici della fisica, in cui cercai di mostrare come si risolvono i problemi per approssimazione successive. È raro che questo argomento venga affrontato, quindi cominciai con semplici esempi aritmetici. Rimasi sorpreso nel constatare che soltanto otto studenti su ottanta consegnarono la prima esercitazione. Dedicai allora una lezione a consigliare caldamente di provare a fare gli esercizi senza accontentarsi di stare a guardare me che li eseguivo.
Dopodiché arrivò una delegazione di studenti a dirmi che non ero al corrente della loro precedente preparazione, e che erano in grado di studiare senza far esercizi, e che avevano già imparato l’aritmetica. E che era di un livello troppo basso per loro.
Andai avanti con le lezioni e nonostante il lavoro diventasse complesso e di altro livello, non consegnavano mai un’esercitazione. Allora dovetti arrendermi all’evidenza: non erano capaci di farle. Un’altra cosa che non riuscii mai a ottenere furono le domande.
Alla fine uno studente mi spiegò che se avesse fatto una domanda durante la lezione tutti gli altri lo avrebbero accusato di far perdere loro del tempo mentre tentavano di imparare qualcosa; con le sue interruzioni avrebbe soltanto intralciato il professore.
Era un lavoro di squadra alla rovescia, dove nessuno sapeva cosa fare, e si cercava però di frenare chi si fosse azzardato a giocare da solo. Fingevano di sapere. Se, con una domanda, uno studente ammetteva per un attimo che qualcosa non gli era chiaro, gli altri lo guardavano dall’alto in basso, come se a loro fosse tutto chiaro e il poveretto volesse solo fare perdere tempo.
Spiegai che era utilissimo lavorare insieme e discutere di tutto: ma non c’era niente da fare, perché non volevano fare brutta figura. Una situazione pietosa! Erano persone intelligenti, lavoravano sodo, ma erano imbevuti di un ben strano spirito, di una strana e totalmente insensata idea di “preparazione” che si riproduceva da una classe all’altra.
Alla fine dell’anno accademico, gli studenti mi chiesero di tenere una conferenza sulla mia esperienza di insegnamento in Brasile. Non ci sarebbero stati soltanto gli studenti ma anche professori e funzionari del governo; mi feci promettere che avrei comunque potuto parlare liberamente. “Certo”, mi risposero, “questo è un Paese libero”.
Mi portai il manuale di fisica elementare adottato per il primo anno i liceo. Gli allievi li ritenevano ottimo perché era stampato in caratteri differenziati: maiuscolo neretto per le cose essenziali, maiuscolo più chiaro per quelle meno importanti, e così via.
Si fece subito avanti qualcuno: “Vuole parlar male di quel manuale, vero? L’autore è presente, e pensiamo tutti che sia un ottimo libro di testo”.
“Mi avete promesso che potevo dire quello che volevo”, replicai. L’aula era piena. Iniziai con una definizione della scienza come comprensione della natura. Poi chiesi: “Qual è la ragione per cui si insegna scienza? Naturalmente, perché nessun Paese può considerarsi civile se non….eccetera eccetera”. Annuivano tutti, sapevo che la pensavano così.
Allora cambiai tono: “ È un concetto assurdo: perché mai dovremmo sentirci costretti a stare al passo con gli altri Paesi? Dobbiamo insegnare scienza per una buona ragione, per una ragione sensata, non soltanto perché lo fanno in altri Paesi!”. Parlai allora dall’utilità della scienza, del fatto che rendesse migliore la condizione umana, e così via. Li presi un po’ in giro.
“Lo scopo principale di questo discorso è dimostrare che in Brasile non si insegna scienza.”
Li sentivo agitarsi. “Come?”, pensavano. “Niente scienza? È pazzo! Con tutti quei corsi che abbiamo!”
Raccontai allora una delle cose che più mi avevano colpito quando ero arrivato in Brasile: avevo visto dei ragazzini delle scuole elementari comprare manuali di fisica in libreria. Ci sono tantissimi bambini che studiano fisica, in Brasile, cominciano molto prima che negli Stati Uniti, e m’ero detto: come mai allora i fisici brasiliani sono così pochi? Perché tutti quei bambini studiano tanto, senza risultato?
Proposi un’analogia con l’ellenista che adora il greco, e sa che nel proprio Paese ci sono pochi bambini a studiarlo. Invitato in un altro Paese, scopre con somma delizia che tutti studiano greco, anche i bambini delle elementari. Assiste all’esame di greco di un laureando e gli chiede:” Quali erano le idee di Socrate sul rapporto tra Verità e Bellezza?”. Lo studente non sa rispondere. Allora chiede: “Cosa dice Socrate nel Simposio?”. Lo studente s’illumina e sciorina parola per parola, in greco perfetto, il discorso di Socrate. Ma nel Simposio Socrate sta proprio parlando del rapporto tra Verità e Bellezza!
La scoperta dell’ellenista è che gli studenti di quel Paese straniero imparano a pronunciare le lettere, poi le parole, poi le frasi, poi pagine intere. Sanno recitare, senza sbagliare, il discorso di Socrate, ma non ne capiscono il significato. Per loro, sono soltanto suoni. Nessuno li ha mai tradotti in parole comprensibili.
“Ecco cosa ho provato, quando ho visto come si insegna la scienza agli studenti qui in Brasile!” Avevo concluso con un bel botto, no?
A quel punto presi il testo di fisica elementare.”In questo libro, non si accenna mai a risultati sperimentali, slavo nel punto in cui si fa rotolare una palla su un piano inclinato, e si indica dove arrivava dopo uno, due, tre secondi. Nei numeri ci sono degli errori, cioè sembrano dati sperimentali perché sono un po’ al di sopra o al di sotto dei valori teorici. Si dice persino che vanno corretti gli errori sperimentali, benissimo. Il guaio è che se calcolate la costante di accelerazione in base a quei valori, ottenete la risposta esatta. Ma una palla che rotola su un piano inclinato – se si prova a farla rotolare per davvero – deve superare una forza d’inerzia; e l’esperimento darà un risultato pari ai cinque settimi della risposta teoricamente esatta, a causa dell’energia in più necessaria per mettere in moto la rotazione. Quindi quell’unico esempio sperimentale è un falso. Nessuno ha mai fatto rotolare davvero quella palla. Se l’avesse fatto, non avrebbe mai ottenuto quel risultato.”
“Ho scoperto dell’altro”, proseguii. “Mi basta sfogliare il libro e puntare il dito a caso su una certa pagina, per capire che on si tratta di scienza ma di pura memorizzazione. Ora oserò aprire il libro davanti a voi, puntare il dito a caso, leggervi la frase e mostravi che intento.”
Così feci, e mi misi a leggere: ”Triboluminescenza La triboluminescenza indica la luce emessa da cristalli sottoposti a pressioni….”.
“Sarebbe questa la scienza? No! Qui una parola viene spiegata con altre parole. Non è stato detto nulla sulla natura; su quali cristalli producono luce quando vengono schiacciati e perché Avete mai visto uno studente andare a casa e provare da solo a verificare di cosa si tratti? È impossibile.”
“Se invece ci fosse scritto: Prendete una zolletta di zucchero; schiacciatela forte con una pinza, al buio: osserverete un bagliore azzurrognolo. Con altri cristalli accade lo stesso. Nessuno sa il perché Questo fenomeno si chiama triboluminescenza. Qualcuno potrebbe provare, da solo, a sperimentare la natura.” Avevo usato questo esempio, ma avrei veramente potuto partire da qualsiasi altra pagina del libro, non ci sarebbe stata alcuna differenza.
Conclusi dicendo che non vedevo a cosa servisse un sistema di auto riproduzione nel quale si superano esami per insegnare ad altri a superare esami senza che nessuno impari mai niente. “Ma forse sbaglio. Nel mio corso c’erano due studenti bravissimi, e conosco un fisico che ha fatto tutti gli studi in Brasile. Dunque c’è chi riesce a farsi strada lo stesso in questo sistema, per quanto pessimo.”
Quando ebbi finito, il direttore del dipartimento di scienze prese la parola: “Il professore Feynman ci ha detto alcune cose difficili da accettare, ma è chiaro che egli ama davvero la scienza e che le sue critiche sono sincere. Penso pertanto che dobbiamo dargli retta. Quando sono venuto qui, sapevo che il nostro sistema educativo era malato; ora so che è malato di cancro!”. E sedette.
Gli altri si sentirono liberi di parlare, e la discussione fu vivace e ricca di spunti. Gli studenti proposero di costituire un comitato per ciclostilare e distribuire in anticipo il teso delle lezioni e altre cose ancora.
Quello che accadde dopo, però, mi colse di sorpresa. Un ragazzo disse: “Sono uno dei due studenti cui accennava il professor Faynman alla fine della conferenza. Non ho studiato qui, ma in Germania, e sono tornato in Basile soltanto quest’anno”.
L’altro studente che aveva seguito con profitto il corso aveva una storia analoga. E il professore di fisica che avevo citato disse d’aver studiato in Brasile durante la guerra, quando, per sua fortuna, tutti i professori avevano abbandonato l’università, per cui si era formata da autodidatta, ai margini del sistema brasiliano. Non me l’aspettavo. Sapevo che il sistema era disastroso, ma non che lo fosse addirittura al cento per cento!
Ero andato in Brasile con un programma sponsorizzato dal governo statunitense, e il ministero degli Esteri mi chiese perciò una relazione. Scrissi un sunto di quella conferenza finale. Scrissi un sunto di quella conferenza finale. Più tardi seppi per vie traverse come aveva reagito un funzionario del ministero: “Questo ci dimostra come sia pericoloso mandare in Brasile una persona tanto ingenua, uno sprovveduto che può fare solo danni”. Tutto il contrario! Ingenuo, a mio parere, era lui, se gli bastava sapere che c’era un’università con un elenco di corsi per credere che tutto funzionasse bene.
Buono studio a tutti noi,
studiare la scienza e la matematica è il primo e decisivo passo per una didattica migliore!
Il passo riportato dal libro di Feynman dovrebbe essere inserito come premessa a tutti i libri di fisica dei licei e degli istituti tecnici, che dovrebbero poi essere valutati dagli studenti per il loro grado di aderenza ai criteri descritti.