Storia di una bilancia aritmetica
- 11/11/2021
- Pubblicato da: Anna Mazzitelli
- Categoria: FISICA GIOCHI MATEMATICA SCUOLA
IN OCCASIONE DELL’EQUAL DAY 2021 la testimonianza preziosa di una docente.
Una lunga riflessione a cuore aperto sul finire di un particolare anno scolastico, l’ultimo di un intero ciclo. Un lungo racconto di una normalissima lezione in classe di matematica che si trasforma man mano in un viaggio all’insegna della scoperta e dello stupore. Un bellissimo esempio di come tutto è sempre a portata di tutti, basta solo scorgerne la strada e non aver paura di osare!
Siamo a fine anno scolastico 2020-2021 (che anno!), e io sto concludendo il percorso con una classe quinta elementare. In questo momento ho davanti a me 22 bambini che conosco da 5 anni, che per 5 anni ho visto crescere, litigare, illuminarsi, piangere, correre, annoiarsi e impegnarsi, 5 anni in cui per 4 o 5 ore al giorno mi sono stati intorno, mi hanno chiamato “maestra”, “mamma” e a volte, ahimè, perfino “nonna”, mi hanno fatto arrabbiare, ma più spesso sorridere, a volte ridere fino alle lacrime. Bambini di cui sono satura e orgogliosa allo stesso tempo, alcuni dei quali continuerò a frequentare, perché sono figli di amici, altri non vedrò più, altri incontrerò a volte per caso, in giro per il paese, ma non saranno mai più tutti insieme, non saranno mai più una classe, non saranno mai più la mia classe.
In questo momento stanno facendo la verifica di fine anno di matematica. Sono concentrati. Qualcuno va dritto come un treno e consegnerà velocemente, qualcuno chiede spiegazioni. Qualcuno sbuffa, qualcuno ha lo sguardo perso nel vuoto. Li osservo: sono in vena di bilanci.
Sarò stata all’altezza?
Sapranno cos’è il divisore di un numero, come si calcola l’area del trapezio, passare da centimetri a ettometri?
Ma soprattutto: sarò stata capace di trasmettere loro la meraviglia davanti alla matematica, tratterranno il fiato davanti all’idea che un cerchio ha infiniti raggi, che la sua circonferenza e il suo diametro si possono misurare ma non si può calcolare con esattezza il loro rapporto, che la potenza zero di qualsiasi numero è uguale a uno perché così tutto torna, che un litro d’acqua pesa un chilo e occupa esattamente un decimetro cubo di spazio, sapranno sgranare gli occhi pensando che l’infinito si raggiunge sommando infinite volte l’uno con se stesso, saranno pronti a mettersi in gioco davanti a sfide e indovinelli che richiedono ragionamento, sapranno divertirsi e gustare la fatica e la gratificazione nel risolvere quesiti e problemi?
Quello che so, è che, fin dalla prima elementare, ho cercato di abituarli al rigore della matematica e anche a usare un lessico appropriato, a dare il giusto significato alle parole che usiamo.
Una delle cose su cui ci siamo soffermati a lungo, per esempio, è il significato del segno “uguale”. Troppo spesso si usa il segno “uguale” attribuendogli il significato di “fa”, “il risultato è”:
5 + 4 = 9
si legge (in maniera riduttiva) come:
5 + 4 fa 9
Ma questo svilisce il significato di quel segno che invece è proprio come un ago della bilancia, che mi dice che a sinistra e a destra ci sono due quantità che si equivalgono. Scoprire questo permette ai bambini di maneggiare con facilità uguaglianze numeriche che hanno piccole espressioni sia a sinistra sia a destra del segno “uguale”, invece che aspettarsi un numero come risultato nella parte destra dell’espressione:
5 + 4 = 3 x 3
10 : 2 + 4 = 12 : 4 x 3
e così via; credo che questo possa aiutarli a intuire il concetto di infinito: ci sono infiniti modi di scrivere il numero 9 e qualunque espressione mi dia come risultato 9 sarà uguale a qualsiasi altra.
In quarta e quinta volevo trovare un modo per spiegare che in un’espressione posso “spostare i termini di qua e di là rispetto al segno uguale” mantenendo l’espressione bilanciata, ovvero far comprendere cosa succede se aggiungo o tolgo quantità uguali in delle semplici espressioni.
L’illuminazione, o almeno così pensavo, è arrivata quando sono venuta a conoscenza della cosiddetta bilancia aritmetica.
L’ho subito acquistata, ci ho giocato a casa con i miei figli e poi, sicura dell’attività che avrei realizzato, l’ho portata in classe.
Trovo che sia molto intuitiva: si aggiungono e si tolgono pesi uguali dai due bracci fino a bilanciare l’espressione, e il bilanciamento è molto evidente, visto che si raggiunge l’equilibrio.
Quella mattina ho iniziato così:
7 + 2 = 9
7 + 2 = 4 + 5
3 x 4 = 10 + 2
E così via.
Ma avevo fatto i conti senza i bambini.
La maggior parte di loro ha compreso subito come funziona la bilancia, e stavo per passare a modificare un’espressione per far vedere loro come un’addizione diventi una sottrazione se la sposto dall’altra parte del segno uguale.
7 + 2 = 9
Aggiungo alla sinistra e alla destra dell’uguale un – 2 e ottengo:
7 + 2 – 2 = 9 – 2
Quindi 7 = 9 – 2
Sembra che abbia spostato il + 2 dalla sinistra dell’uguale alla sua destra, facendolo diventare un – 2.
La stessa cosa succede con la moltiplicazione e la divisione, in quanto anche loro, come addizione e sottrazione, sono operazioni inverse, sono le due facce diverse della stessa medaglia, sono la stessa operazione letta dai due versi opposti, come ho sempre detto in classe fin dalla prima elementare.
Questa era la lezioncina che mi ero preparata con grande soddisfazione, quando la mia alunna Laura (nome di fantasia) mi ha bloccato sul nascere, dicendo che non capiva il funzionamento della bilancia.
“Come è possibile che tu non capisca!” hanno sbuffato i compagni, “è facilissimo, metti i pesi sotto i numeri sui due bracci della bilancia e fai le addizioni che vedi scritte”
“No,” insisteva Laura, “non capisco, i pesi sono tutti uguali, come è possibile che la bilancia sia in equilibrio se metto un peso da una parte e due pesi dall’altra, come adesso, che ci sono due pesi a sinistra (7 + 2) e un solo peso a destra (9)… a sinistra dovrebbe esserci il doppio del peso!”
“Ma Laura,” cerco di spiegare, “è intuitivo, vedi che i due pesi a sinistra sono in posizione diversa rispetto al peso a destra?”
“Ma sì, dai, è facile, andiamo avanti, maestra!” incitava la classe.
Ma Laura non si dava per vinta.
“È come il sali-scendi del parco giochi, quello in cui un bambino si mette da una parte e un altro bambino dall’altra, e vanno uno su e uno giù…” ho provato a dirle. Ma niente, ho peggiorato le cose: “Infatti, il sali-scendi è in equilibrio quando i due bambini pesano uguale, se metti due bambini da una parte l’altalena scende!” si ribella lei.
Ho capito, qui ci serve una lezione sulle leve e sul fulcro, arrivederci matematica e benvenuta fisica!
Non avendo in classe un’altalena tipo sali-scendi non mi resta che sfruttare la porta antipanico che dà sul cortile.
“Laura, vieni con me vicino alla porta dell’aula”.
Devi aprire la porta. La porta ha un certo peso, quindi tu dovrai contrastare questo peso applicando una forza, sei d’accordo?”
Mi guarda perplessa, non sa dove voglio arrivare e i compagni le mormorano dietro perché ha polarizzato la mia attenzione facendomi interrompere la lezione sulla bilancia.
“Laura, spingi qui e apri la porta” le dico indicando il punto più vicino ai cardini. Lei mette la mano e spinge, e con difficoltà la porta si apre piano piano.
“Ok, adesso richiudiamo la porta e tu devi riaprirla, però stavolta spingi qui.” Le dico, indicando il punto più lontano dai cardini.
Laura spinge di nuovo, e stavolta la porta si spalanca con facilità.
Arriva di corsa Chiara (altro nome di fantasia), anche lei vuol provare, o forse vuole solo starsene in giro per la classe invece che aspettare al suo banco. La faccio provare, che male c’è?
“La porta pesa sempre nello stesso modo”, dico alle bambine e alla classe, “ma se spingi lontano dai cardini sembra che pesi di meno. I cardini si chiamano FULCRO.”
Sto semplificando, non voglio fare una lezione sulle leve, eppure è proprio quello che finisco per fare, poiché Laura vuole maggiori chiarimenti, e anche i compagni, a questo punto, hanno dimenticato l’espressione e la bilancia aritmetica e si sono appassionati alla porta, tutti vogliono provare a spingere, alcuni solo per potersi alzare, altri perché sono sinceramente affascinati dal nuovo argomento.
Non mi resta che continuare, aiutandomi con dei disegni sulla lavagna:
“Aprire la porta spingendo lontano dai cardini significa usare la porta come leva di secondo genere, la potenza e la resistenza sono dalla stessa parte rispetto al fulcro, ma la distanza tra fulcro e resistenza è minore della distanza tra fulcro e potenza, quindi la porta si apre con facilità, devo spingere poco: la leva di secondo genere è sempre vantaggiosa.
Scrivo:
FP > FR
Aprire la porta spingendo invece vicino ai cardini, significa usare la porta come leva di terzo genere, che è sempre svantaggiosa: potenza e resistenza sono sempre dalla stessa parte rispetto al fulcro, ma in questo caso la distanza tra fulcro e potenza è minore della distanza tra fulcro e resistenza, quindi la porta si apre con difficoltà, devo dare una spinta più forte per aprirla, faccio più fatica”.
FP < FR
“Allora esiste anche la leva di primo genere!” esclama a questo punto qualcuno. Sono fantastici, mi danno loro stessi l’opportunità per tornare alla bilancia:
“Una leva di primo genere è proprio come la nostra bilancia: il fulcro è al centro e corrisponde al chiodo al centro della bilancia. Abbiamo detto che se la distanza tra fulcro e potenza è maggiore della distanza tra fulcro e resistenza, la leva è vantaggiosa, giusto? (ricordatevi la porta, leggete sulla lavagna…)”
Aspetto solo qualche “sì” e poi continuo:
“Metto un peso qui sul 9 a destra del fulcro, come stava prima: è la resistenza (come se fosse il peso della porta). La bilancia sarà in equilibrio se metterò un altro peso uguale a sinistra del fulcro (sarebbe la potenza), sempre alla stessa distanza (sull’altro 9)”. Mentre parlo faccio vedere loro l’uguaglianza 9 = 9.
“Ma se metto la potenza sul 7, vedete che la distanza tra potenza e fulcro è minore della distanza tra resistenza e fulcro?” L’asta si sbilancia immediatamente verso destra.
FP < FR
La leva non è in equilibrio e devo aggiungere qualcosa a sinistra per ottenerlo”.
A questo punto perfino Laura è convinta che per ripristinare l’equilibrio vada messo un nuovo peso a sinistra, e si arrende all’evidenza che vada posizionato sul numero 2.
Mi piacerebbe davvero passare alle espressioni aritmetiche… ma li guardo: sono cotti.
“Fate merenda!” annuncio, e la mia voce si perde nell’ovazione generale. Alle espressioni penseremo la prossima volta.